La risposta è semplice. Un ingrediente è sostenibile quando viene prodotto e trasportato in modo da limitare al massimo il suo contributo al riscaldamento globale. Quando protegge la biodiversità e l’ecosistema, rispettando quindi le risorse naturali e l’ambiente. Infine, quando assicura a chi lo produce un compenso equo e condizioni di lavoro dignitose.
Prendiamo l’esempio dell’olio di palma, che non sembra il candidato ideale al titolo di “ingrediente sostenibile”. Eppure esiste un olio di palma sostenibile, certificato come tale e proveniente da piantagioni in cui sono rispettati sia l’ambiente sia i lavoratori. Basta controllare l’elenco degli ingredienti per trovarlo in molti prodotti in commercio, come creme spalmabili, biscotti e merendine.
Analogo discorso per il pesce che arriva sulla nostra tavola. È sostenibile solo quello pescato in aree in cui si contrasta lo sfruttamento intensivo delle risorse e l’impoverimento delle popolazioni ittiche. Ma non basta: anche l’habitat deve essere protetto, evitando tecniche di pesca che possono distruggere i fondali. Inoltre, il pesce sostenibile non deve appartenere a specie a rischio di estinzione. Un’etichetta ecologica consente di verificare se tutte queste condizioni sono rispettate.
La sostenibilità è quindi una presa di coscienza a cui siamo chiamati ogni giorno. Perché “l’impronta ambientale” di ciascun ingrediente incide “sull’impronta alimentare” di tutti noi. Facciamo in modo che sia virtuosa dall’origine fino alla tavola.